La crisi dell’ex Ilva di Taranto, tornata al centro del dibattito nazionale, continua a rappresentare una delle questioni industriali più delicate del Paese. Mentre i cittadini chiedono certezze sul fronte ambientale e i lavoratori temono nuovi cicli di ammortizzatori sociali, il futuro della più grande acciaieria d’Europa appare ancora incerto.
La complessità della situazione si riflette anche sul piano istituzionale. Il confronto tra Governo e amministrazione locale procede tra rinvii, incomprensioni e incontri annullati, con il rischio concreto di allontanare ulteriormente investitori già molto cauti. Nel frattempo, resta sul tavolo un nodo centrale: senza una decisione chiara, la siderurgia italiana rischia di perdere un asset strategico.
Crisi ex Ilva e peso della siderurgia nazionale
La crisi dell’ex Ilva non può essere considerata una questione locale. A livello globale, la produzione di acciaio continua a crescere: a marzo 2025 sono state registrate 166,1 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, con un aumento del 2,9% rispetto all’anno precedente. Oltre il 70% della produzione arriva dall’Asia e dall’Oceania, che nel solo mese di marzo hanno totalizzato 123,6 milioni di tonnellate.
L’Unione Europea, invece, si è fermata a 11,7 milioni di tonnellate, confermando una perdita di competitività evidente a livello internazionale. In questo scenario l’Italia resta comunque tra i principali produttori europei, ma con un trend che suscita preoccupazione: nel 2024 la produzione nazionale è scesa a circa 20 milioni di tonnellate, uno dei livelli più bassi dell’ultimo quindicennio.
I primi mesi del 2025 hanno segnato un lieve rimbalzo: 5,53 milioni di tonnellate prodotte nel trimestre, pari al +3,1% rispetto allo stesso periodo del 2024. A marzo la produzione ha superato i 2 milioni di tonnellate, con un incremento del 6%. Si tratta di segnali incoraggianti, che dimostrano come il settore possa ancora ripartire se sostenuto da politiche industriali coerenti.
Ex Ilva: una struttura strategica che l’Italia non può perdere
In questo contesto, rigenerare l’ex Ilva significa mantenere un presidio industriale essenziale per filiere come automotive, meccanica, edilizia e tecnologie green. Rinunciare alla produzione nazionale comporterebbe una dipendenza quasi totale dai mercati esteri, con inevitabili ripercussioni su competitività e costi.
Il rilancio richiede investimenti mirati, tecnologie a basse emissioni, competenze adeguate e un quadro normativo stabile. L’obiettivo è duplice: garantire occupazione e sviluppo, ma anche assicurare tutela ambientale e sicurezza per cittadini e lavoratori. La crisi ex Ilva diventa quindi il banco di prova di una politica industriale capace di coniugare crescita e sostenibilità.
Verso una decisione definitiva per il futuro dell’ex Ilva
La vicenda dell’ex Ilva richiede ora un cambio di passo. Le incertezze istituzionali degli ultimi anni hanno generato sfiducia e rallentato ogni possibile processo di rilancio. Oggi ciò che serve è una visione chiara, accompagnata da un percorso credibile che unisca industria, comunità e istituzioni.
Solo attraverso una strategia definita sarà possibile evitare che lo stabilimento diventi un altro esempio di riconversione incompiuta, come accaduto in passato in diversi siti industriali del Paese. Il territorio e la fabbrica, dopo anni di contrasti, hanno bisogno di ritrovare un equilibrio capace di sostenere una rinascita duratura.










